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Il moto di rivoluzione è un movimento che un corpo celeste compie attorno ad un centro di massa. La Terra compie il suo moto attorno alla sua stella, il Sole, in 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. E questo lo sappiamo tutti, più o meno dalle elementari. Ogni pianeta ha un suo moto variabile, e anche questo ci è stato insegnato nell’ora di scienze alle elementari. Lo stesso Sole ha un moto di rivoluzione attorno al centro della Via Lattea. Una durata per l’insulsa vita umana inconcepibile: 250 milioni di anni terrestri. I dinosauri ancora non calpestavano la terra quando ha iniziato il suo giro. Gli esseri umani non ci saranno più da molto tempo quando completerà un giro. Nel frattempo questi ultimi hanno inventato diversi passatempi per lasciare un segno del loro passaggio. Uno dei più diffusi di questa epoca è il calcio. In ogni angolo di questo pianeta c’è una palla che rotola, due oggetti a simulare una porta e qualcuno pronto ad esultare se la palla, o oggetto sferico similare, oltrepassa quella linea di demarcazione che viene creata da quei due oggetti.
A Pisa, fin dal 1909, c’è il Pisa Sporting Club. Una squadra che rappresenta un popolo, forse più di altre. O forse è quel che ci piace credere a noi suoi tifosi. Il Pisa manca dal calcio che conta, quello che fa discutere in ogni angolo delle città, quello che spesso è il primo argomento di discussione nel bruttissimo lunedì mattina, da 34 anni.
Ritornando al moto di rivoluzione sappiamo che Saturno, il secondo pianeta più grande del sistema solare – forse il più bello con i suoi anelli, sicuramente il più temuto dal “gioco dell’astrologia” con le sue nefaste conseguenze – termina il suo giro in poco più di 29 anni terresti.
Da quando Roberto Muzzi con la maglia della Roma siglò una rete sotto la Curva Nord, il 26 maggio 1991, Saturno ha completato il suo moto di rivoluzione attorno al Sole e ne ha intrapreso un altro. Il Pisa, e sopratutto i suoi tifosi, non hanno ancora chiuso il loro giro attorno al mondo del calcio minore.
34 anni fa la Serie A era ancora considera il Campionato più bello del mondo. Oggi non più. I grandi campioni di un tempo, i Maradona, i Platini, i Van Basten, si sentivano arrivati a giocare in questo campionato. Oggi Halland, Mbappé, Lamine Yamal, preferiscono altri lidi e considerano l’Italia una scelta di secondo piano.
34 anni fa non sapevo cosa fosse la morte. Ero un bambino, sapevo che era parte della vita, ma la vedevo così lontana che sembrava quasi non toccarmi. Poi ho visto morire Ayrton Senna praticamente in diretta tv e mi sono reso conto che è una cosa vicina ad ogni uomo, in ogni momento della sua vita. Pochi anni dopo toccò ad Andrea Fortunato, che avevo visto volare nella fascia sinistra con i gloriosi colori del Pisa. E poi Francesca, la ragazza che mi passò la prima canna, morta nel giorno del suo compleanno per una leucemia fulminante, perché lei non si era fermata a quella canna. E quindi in 34 anni, passi dal crederti un giovane immortale alla consapevolezza di esser una fragile vita, che può sparire da un momento all’altro.
34 anni fa quando una squadra in campo voleva perdere tempo per mantenere il risultato, passava la palla indietro, fino al portiere. Quest’ultimo la coglieva con le mani e allungava il tempo di inattività del cronometro. Oggi nessun portiere si azzarda a prendere un retropassaggio con le mani, in quanto vietato dal regolamento.
34 anni fa era appena caduto il Muro di Berlino, e sembrava potesse nascere un nuovo mondo di Pace, senza più l’ombra di quel brutto mostro comunista proveniente dalla Russia. Oggi c’è un brutto mostro proveniente dalla Russia che mette paura a quel falso benessere capitalista con una guerra in Ucraina che nessuno sa fermare.
34 anni fa si entrava allo stadio anche alle 11 di mattina per prendere posto. La radiolina in mano per ascoltare le altre gare. L’orario di inizio che cambiava a seconda della stagione e tutte le gare in contemporanea. Oggi la radiolina è sparita, ma il cellulare che hai in tasca ti può far rivedere in diretta anche le azione che hai davanti ai tuoi occhi a pochi metri.
34 anni fa al solito posto, alla solita ora, ti vedevi con i tuoi amici. Se qualcuno non si presentava gli andavi a suonare il campanello di casa invitandolo ad uscire. Il pallone sotto braccio, le ginocchia sbucciate e quei muretti ad ascoltare gli inutili pettegolezzi mentre il sudore si incollava alla pelle. Oggi alla scrivania della propria cameretta fai una call con gli amici e la sfida di pallone diventa virtuale: con i videogiochi e la connessione internet.
34 anni fa, quando la partita si avviava al 90esimo, vedevi il cronometro sul video tabellone andare sempre più veloce e allora iniziavi ad inveire contro l’arbitro per far sì che fischiasse la fine della partita, non sapendo quando il “fischietto nero” avrebbe deciso di farla finita. Oggi, colui che indossi divise flou di vari colori, indica quanti minuti far giocare ulteriormente al quarto uomo che con un tabellina elettrica lo mostra a tutto lo stadio.
34 anni fa frequentavo la quinta elementare e la mia passione per il calcio era distratta, senza caprine il motivo, dall’attrazione per la dalla mia compagna di classe di nome Francesca. Poco male, a lei facevo schifo. Poi andai alle medie e mi piaceva la mia compagna di classe Angela, stavolta iniziando a capirne il motivo. Per fortuna anche lei non mi considerava. Alle superiori ho iniziato a volere un’altra Francesca, Irene, Veronica. Ed avevo ben chiaro il motivo per cui le volessi. Poi ho conosciuto Lidia, Tania, Sara. E mi hanno iniziato a considerare, ricambiare. Ed ho capito che era meglio mi concentrassi solo sulla passione per il calcio.
34 anni fa sapevo la formazione del Pisa a memoria, perché in campo scendevano sempre gli stessi undici, durante la gara cambiavano due giocatori e in rosa c’erano poco più di sedici giocatori. Il numero 2 era il terzino destro, il 6 – la maglia che mi son portato dietro per tutta la vita – era del libero, il 9 il centravanti e il 10 l’uomo con più fantasia. Oggi giocano pure con il 90, il 66, il 45 e sopra il numero c’è scritto anche il nome; sia mai che non riconosci che la punta gioca con il 32.
34 anni fa in un articolo di giornale lessi che negli Stati Uniti stavano progettando un video telefono. Io fantasticavo nell’averlo per poter vedere i miei nonni dall’altra parte dell’oceano, che invece sentivano mia madre circa una volta al mese. I miei nonni non hanno mai visto un videotelefono, ma adesso mia madre quasi tutte le settimane videochiama suo fratello rimasto negli States tramite whatsapp.
34 anni fa, quando una squadra vinceva una partita, in classifica gli venivano concessi due punti. Le ultime quattro retrocedevano e le prime quattro di Serie B venivano promosse. Non c’erano play-off, né play-out e se volevi provare ad indovinare i risultati sognavi di fare 13 al Totocalcio.
34 anni fa ero un bambino che aveva tanti sogni, che voleva cambiare il mondo perché non gli piaceva. In tutti questi anni li ho falliti tutti quei sogni, ma ho sempre voglia di cambiare il mondo che continua a fare schifo.
34 anni fa Filippo Inzaghi era un ragazzino promettente delle giovanili della squadra della sua città, Piacenza. Come tutti i ragazzi di quell’età sognava di diventare un professionista di grande livello nel mondo del calcio. Alla fine ha vinto campionati, Champions League ed ha segnato più gol di chiunque altro calciatore italiano in competizioni europee. Poi ha raggiunto il sogno di ogni calciatore (e non) diventando Campione del Mondo nel 2006. Era talmente innamorato della palla, del gol, delle emozioni che gli davano quei gesti all’interno del rettangolo verde che a 40 anni l’hanno quasi costretto a smettere. E allora ha deciso di continuare a sognare quei gesti, ma facendo l’allenatore. Oggi è l’allenatore del Pisa. E se 34 anni fa il Pisa era in serie A … adesso con lui c’è tornato !