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Gli studenti a Pisa come portafogli ambulanti. Ormai vuoti

Il collettivo Exploit Pisa è intervenuto sulla questione della chiusura dell’Ateneo a causa dell’emergenza coronavirus. scrivendo una lettera al sindaco Michele Conti e al rettore Paolo Mancarella.

Apprendiamo dai giornali di un battibecco tra i due vertici delle principali istituzioni cittadine, il Sindaco ed il Rettore. Ci sembra una polemica viziata ed inutile, e ci permettiamo di fare a questi personaggi una piccola lezione di storia della città, che possa essere utile a fermare lo svuotamento della città.

Pisa, la città che abitiamo, vede un afflusso di giovani affamati di studio e cultura da circa sette secoli. Dall’Unità d’Italia, l’Università di Pisa ha mantenuto un ruolo di primo piano nel sistema accademico e culturale italiano, affiancata dalla blasonata Scuola Normale Superiore e, più recentemente, dalla Scuola Superiore Sant’Anna.
Tale ricchezza di cultura, arte e ricerca, concentrata in una così piccola città, ha prodotto una situazione del tutto singolare: con l’avvento dell’Università di massa, gli studenti dell’Ateneo pisano sono arrivati a numeri paragonabili alla stessa popolazione residente. Gli effetti sono stati importanti, con lo sviluppo – dentro la società industriale degli anni ’60-’70 – di un ambiente peculiare, per quanto riguarda la cultura, la politica, l’economia. Di questo ambiente speciale, hanno potuto godere in molti, e diversi: abitanti ed artisti – ben più vicini che altrove, operai e studenti – facilmente uniti in una lotta continua che raramente ha smesso di farsi sentire nell’ultimo mezzo secolo.

Negli ultimi decenni, però, l’hanno spuntata soprattutto gli speculatori: gli affitti delle catapecchie del centro storico e la massiccia vendita di cibo e bevande di dubbia qualità sono i vettori di una particolare gentrification di cui noi studenti siamo stati il principale target, in mancanza di una vera e propria proposta di conversione turistica che andasse oltre alla vendita di souvenir della torre di Pisa. Eppure, nel frattempo, noi studenti – sempre più spremuti – abbiamo cominciato a “dare fastidio”.

Da sinistra a destra, gli amministratori ci incolpano da anni di essere giovani e voler vivere liberi, ci rimproverano di portare arte, studio e vita nella città senza accettare l’imperativo del consumo sempre crescente. Per anni, abbiamo sì risposto a queste accuse,  ma ci siamo soprattutto fatti i fatti nostri: nelle aule occupate, negli spazi sociali e associativi, nelle piazze che abitiamo nella notte. Esprimiamo la cultura nella vita di piazza, senza aspettarci niente dalle istituzioni pubbliche. Ma non di rado ci siamo trovati costretti a difendere coi nostri corpi questi nostri spazi. L’ultima volta è famosa e ve la ricorderete, eravamo in Piazza dei Cavalieri, e Vinicio Capossela ha aperto un bel dibattito.

Vi invitiamo, Rettore e Sindaco, a riprendere quel dibattito ed aggiornarlo con la tragedia sociale avvenuta nella nostra città negli ultimi mesi con l’emergenza Covid-19. Vi risparmiamo di pagare qualche esperto che si occupi dell’assoluta mancanza di un progetto per la città di Pisa offrendovi qualche consiglio per non provocare un esodo da questa città: mettete a disposizione fondi pubblici per la componente studentesca e giovanile da cui avete spremuto soldi in questi anni. Cancellate la tassa universitaria fintamente rinviata; favorite una riduzione degli affitti ed una conveniente uscita dal nero; fornite soldi all’arte, alla cultura che emerge dal basso e fornite spazi liberi per chi anima la città. Smettete di farci la guerra e considerarci portafogli: vi riveliamo che questi sono ormai svuotati – come le catapecchie inagibili nelle quali ci avete fatto vivere.

Il Sindaco voleva creare “Pisa città della quiete”. Eppure, sembra che la nostra assordante assenza generi non poche paure: siete pronti a ritrovarvi soli a litigare con i bottegai della Pisa che non ci sarà più?

Da parte nostra, e ci spiace per voi, vi promettiamo che resteremo qui fino all’ultimo, finché ci saranno ancora libertà e piazze da far vivere“.