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Pisa, il fallimento del progetto tecnico

Alber Einstein definì la Follia come il ripetere alla nausea la stessa azione aspettandosi risultati diversi . Siamo giunti alla ventisettesima giornata del campionato cadetto e ogni volta che si prova a commentare una gara del Pisa si ripetono sempre le stesse parole. La squadra di Aquilani si sta dimostrando costante nel suo piattume, senza sussulti con risultati deludenti. Riprendendo la famosa barzelletta dell’uomo che cade dal grattacielo, possiamo dire che il Pisa sta cadendo da un palazzo di 38 piani e adesso ne mancano solo 11 prima di trovarsi con la faccia al suolo. Nel frattempo cosa si sta facendo per evitare di rompersi tutte le ossa? Niente !

La squadra non si è mai avvicinata alla zona play-off, ogni volta che l’obiettivo sembrava a un tiro di schioppo è stata prontamente risucchiata verso i bassifondi. Abbiamo cercato di darci fiducia per una serie di risultati positivi con tre vittorie, tre pareggi ed una sconfitta con squadre mediocri e nella parte destra della classifica. Le conferme dovevano arrivare nelle gare successive, il trittico in cui finalmente il Pisa affrontava squadre “vere“. In tre gare il Pisa ha subito 7 reti, perdendo due gare nei minuti di recupero e rischiando di perdere pure la terza allo stesso modo se non fosse intervenuto il Var a segnalare una posizione irregolare del giocatore del Modena. Le prestazioni non sono state neanche pessime, ma alla fine nel calcio conta chi la butta dentro. Le grandi squadre vincono, le perdenti trovano scuse. Il Pisa ha dimostrato di non essere una grande squadra. Le scuse per evitare di affrontare la realtà in queste ventisette gare si sono alternate. Una volta la colpa è ricaduta su inaspettati infortuni; un’altra volta son state le scelte arbitrali discutibili, altre volte la sola sfortuna. Ultimamente invece ci siamo focalizzati sull’errore del singolo. Errore che non è mai dello stesso giocatore, ma si sono alternati diversi componenti della rosa. E quando l’errore del singolo diventa una costante in un gruppo di trenta giocatori non può che essere definito come un errore di squadra.

Una società che crede nei propri investimenti probabilmente avrebbe mandato via il Mister ad ottobre, quando si iniziava a vedere che il progetto tecnico stentava a decollare. Una società che, giustamente, vuol dare fiducia ai suoi dipendenti avrebbe preso una decisione a metà strada, a fine dicembre, una volta terminato il girone di andata in una posizione di classifica deludente. Una società che ha insistito fino ad oggi con questa rotta non si capisce dove voglia andare a parare. Bisogna però ammettere che sarebbe troppo ingeneroso incolpare Aquilani per i risultati del Pisa. Aquilani è solo la punta dell’iceberg di una gestione sportiva fallimentare. Che qualcosa nella gestione della squadra non andasse per il verso giusto l’avremmo dovuto sospettare quest’estate quando un uomo di carattere e provata esperienza come Kolarov decise di tornare sui suoi passi e rinunciare all’accordo raggiunto con il Pisa.

Il tutto si sta svolgendo con un silenzio assordante da parte della società. Silenzio incomprensibile, mai effettivamente giustificato, che sta subendo critiche da tutte le parti, pure da grandi network internazionali come Sky. Chi continua in maniera estenuante a difendere l’operato della società parla di normali conseguenze di un anno di transizione. Definizione, che ad essere onesti, la società non ha mai dato e che alla luce dei fatti si dimostra incongruente. In un anno di transizione si costruiscono delle basi solide su cui investire in futuro. Quelle basi dovrebbero essere un’idea di gioco su cui si consolida un gruppo di giocatori sulla quale costruire una squadra vincente. L’idea di gioco ad oltre trequarti di campionato ancora non si vede. I vari giocatori presenti in rosa non sembrano aver assimilato le idee del loro mister e molti di loro sembrano aver scollinato l’apice della loro carriera. Ad oggi l’unico obiettivo possibile – agli occhi di chi osserva da esterno – sembra quello di portare al termine il campionato salvando il salvabile e attuare una rivoluzione totale a giugno.

Ma la parte più triste di questo campionato è veder crollare quella cosa che da sempre è stato il punto più forte su cui costruire in questa piazza: la passione dei tifosi. Pisa da decenni e decenni ha avuto una sola entità sportiva che la città ha seguito, cucendosela addosso come una seconda pelle: ed è la propria squadra di calcio. Il tifoso pisano ha sostenuto la sua squadra, seguendola in ogni categoria, non facendo mai mancare il suo apporto, mettendo a proprio agio ogni persona che ci ha lavorato attorno e non lesinando critiche, ma solo nel momento opportuno. Quest’anno tra strutture decadenti, prezzi popolari degni di una tribuna d’onore in altre piazze analoghe, prestazioni della squadra anonime e insoddisfacenti, il pubblico si è annoiato e si sta allontanando sempre più dalla propria squadra. E a Pisa non c’è mai stato un pubblico esigente. Il tifoso pisano non si è mai divertito con il tiki-taka o affini. E’ avvilente sentire da parte di qualcuno che a Pisa pretendiamo troppo. Ricordiamo che l’immagine simbolo di questa squadra è la maglietta strappata di Klaus Berrggreen. I giocatori entrati nel cuore della tifoseria non sono mai stati i grandi bomber autori di giocate sportive fuori dall’ordinario. A Pisa vengono ricordati i Gabriel Raimondi, che ha continuato a giocare con tredici punti di sutura in testa; i Massimo Gargani, uscito tra gli applausi dopo un’espulsione nel derby contro il Livorno; gli Andrea Lisuzzo, che dopo un anno fallimentare si ostinò a restare in maglia nerazzurra per dimostrare il suo valore di Uomo.

Nessuno ha chiesto a questa società quest’anno, o negli anni precedenti, la Serie A. Anzi gli sono stati riconosciuti tanti meriti, da ogni parte, per dove ci hanno portato fino ad oggi. L’unica cosa che questa tifoseria ha sempre chiesto è il rispetto per una maglia che a fine gara deve essere intrisa di sudore, sporca e se necessario pure strappata a dimostrazione dell’impegno messo in campo. E questa società dovrebbe saperlo bene. Il loro esordio in questa città fu l’anno in cui il Pisa si classificò per la prima e unica volta in 115 anni di storia ultimo in classifica. La squadra abbandonò quell’anno la serie cadetta perdendo in casa per 3 a 0 ed uscì dal campo sotto scroscianti applausi da parte di tutti i presenti. Venne riconosciuto a tutto quel gruppo (tecnici e giocatori) il massimo impegno in una situazione catastrofica, che forse poteva essere recuperata in corso d’opera, ma la tifoseria preferì riconoscergli ogni attenuante.

Quest’anno a questa squadra non manca niente, anzi ha molto di più di ciò che serve per ottenere una tranquilla salvezza. Ma bisogna intraprendere la strada giusta, tutti assieme. Pisa è la città che ha insegnato al mondo che da un errore si può rimediare e costruirci sopra l’opera più bella possibile. Ma bisogna farlo mettendo da parte l’orgoglio.