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Appello per salvare la Biblioteca Universitaria di Pisa

Non è una paura allarmistica: la Biblioteca Universitaria di Pisa rischia seriamente di scomparire, di morire per inedia e per asfissia, stretta nella morsa della dispersione delle collezioni da un lato e della inadeguatezza degli spazi dall’altro. Da anni sta di fatto ai margini del patrimonio culturale
della città, come un fantasma privo di vita, di crescita e di servizi bibliografici, ormai ridotti al lumicino. Non ci sono solo problemi causati da eventi recenti, ci sono nodi irrisolti da decenni che stanno venendo al pettine. Ma l’attenzione dell’opinione pubblica e delle forze politiche della città ha inevitabilmente un andamento saltuario e quasi sempre legato alle emergenze.


Dal 700 a oggi il panorama bibliotecario della città è profondamente cambiato, insieme al numero e alla tipologia dei suoi utilizzatori, e non è possibile ignorarlo: quella che era esclusivamente la biblioteca dell’Università è cresciuta enormemente nella quantità di collezioni e nello stesso tempo ha ampliato il suo pubblico di riferimento. L’ Università ha realizzato un sistema di alta qualità di biblioteche dedicate alla didattica e alla ricerca, incentrate su sei poli, e così pure la Scuola Normale
e la Scuola Sant’Anna. Il sistema bibliotecario degli enti locali è stato arricchito dalla nuova sede SMS (con una collocazione molto accattivante anche se purtroppo limitata negli spazi), ma ha subito un
colpo durissimo per lo scompaginamento della Biblioteca Provinciale, che forniva tra l’altro un ottimo servizio di documentazione politico-amministrativa, solo molto parzialmente attutito dalla
collocazione di una scelta di volumi presso le Officine Garibaldi.
In definitiva la BUP, ossia la biblioteca più importante e prestigiosa della città per numero di volumi ed esclusività di collezioni, compare nelle cronache ormai solo per gli allarmi e le recriminazioni. È
necessario che le forze politiche e le realtà culturali della città capiscano che il problema non è quello di trovare un po’ di spazio qua e là per accatastare i volumi, ma quello di costruire – a partire dal
pieno coinvolgimento dell’ente più direttamente interessato, il MIBAC – una grande biblioteca di
cultura per una città che vuole conservare e potenziare la sua fisionomia di città della cultura.

La crisi della Biblioteca Universitaria di Pisa: spunti per una risposta cittadina.

  1. ANTEFATTO: un lunga storia di insufficienza strutturale
    Alla metà del 700, quando fu aperta, la Biblioteca Universitaria di Pisa (BUP) era allocata al primo piano della Specola in via Santa Maria. Negli anni 20 dell’Ottocento (il trasferimento ebbe luogo il 1824 non senza qualche dibattito sull’opportunità dello spostamento) alla Biblioteca Universitaria di Pisa (BUP) furono assegnate alcune stanze dell’edificio universitario della Sapienza perché avesse uno spazio più adeguato.
    Gli spazi tuttavia si rivelarono insufficienti abbastanza presto, tanto è vero che la sede fu considerata inadeguata sotto vari profili già nelle relazioni dei direttori di fine Ottocento, per giungere a vere e
    proprie perorazioni negli anni 50 di questo secolo, quando si cominciò a ventilare anche la possibilità
    – e l’auspicio- del trasferimento in una sede nuova. Quello degli spazi fu pure il cruccio maggiore
    della direttrice Moneti, che svolse il suo mandato fino al 1969. Ciò nonostante non fu mai presa in
    considerazione nessuna seria alternativa che fosse in grado di offrire spazio per i volumi e per i
    servizi della biblioteca alla coabitazione con la Facoltà di Giurisprudenza, nonostante che le
    collezioni crescessero e che il carico dei volumi sulle strutture diventasse sempre più critico a causa
    della loro collocazione in massima parte al secondo piano dell’edificio.
    Il resto praticamente è storia dei nostri giorni, con le note caratteristiche di recidività e di ripetitività
    che conosciamo, compresi gli occasionali allarmi periodici nella stampa cittadina e nell’opinione
    pubblica interessata a questi temi.
  2. LA CRISI POST TERREMOTO
    A seguito della chiusura seguita al terremoto del 2012 ripresero forza le ipotesi –che però per
    svariati motivi non giunsero a maturità- di una collocazione diversa e adeguata alle esigenze di quella
    che ormai non era più solo esclusivamente universitaria ma era divenuta a tutti gli effetti una grande
    biblioteca pubblica (si parlò del palazzo di Chimica in via Risorgimento, del palazzo dell’Intendenza
    di Finanza, dei Cappuccini, almeno come sede pur provvisoria ma almeno unica, al fine di evitare la
    dispersione del patrimonio in altre città, quello che si è poi tristemente verificato in questi ultimi
    tempi). D’altra parte sopralluoghi tecnici effettuati dal MIBAC avevano stabilito la totale
    improponibilità del palazzo della Sapienza, anche qualora si immaginasse interamente dedicato alla
    BUP (per spazi comunque non sufficienti e ambienti parcellizzati e non adeguati) e la necessità di
    una riprogettazione globale, da vera biblioteca. Ma prevalsero le resistenze e i condizionamenti
    delle abitudini, basati sul postulato che dovesse restare comunque in Sapienza, nonostante la legge
    dell’incomprimibilità dei solidi e senza una adeguata riflessione sulla reale portata per le collezioni
    e per i servizi di una scelta così asfittica. In tutto questo panorama venne a mancare l’elemento più
    importante, ovvero l’iniziativa del Ministero, che viceversa parve adagiarsi nell’attesa della
    ristrutturazione dei locali della Sapienza. Poi vennero anche i ritardi nell’affidamento, nei lavori e
    tutto il resto, peraltro ampiamente noto: mentre l’Università ha portato a compimento la parte di
    sua competenza, insediandovi oltre alle già presenti due aule magne, aule e servizi per la Facoltà di
    Giurisprudenza (compresa una modernissima biblioteca unificata di Giurisprudenza e Scienze
    Politiche), i lavori della parte del palazzo in cui è ospitata la BUP, di competenza del MIBAC, ad oggi
    sono ancora ad un punto morto. Senza considerare che anche una volta ultimati i lavori i locali in
    ogni caso non potranno ospitare le stesse quantità di volumi del passato, stanti le normative edilizie
    circa il carico dei solai.
  3. CHE FARE? Dove, come e chi
    A questo punto della vicenda, se si vuole evitare la scomparsa dell’istituto bibliotecario più
    importante della città, ragionevolmente occorre cambiare radicalmente lo schema, da un lato
    ponendo fine della dispersione che sta causando danni irreversibili, dall’altro, come è stato
    ipotizzato di recente anche dal Sindaco Conti, individuando una sede unica (è stato calcolato
    all’ingrosso un fabbisogno di 6-7 mila mq, come minimo, considerato che attualmente la biblioteca
    occupa all’incirca 2500 mq nella sola Sapienza) che dovrebbe essere utilizzata contestualmente a
    una residuale parte “di rappresentanza” in Sapienza, corredata da una scelta di volumi storici.
    Bisogna mettere in piedi un progetto che esca dalla logica del “trovare un po’ di posto” per collocare
    i libri e che in tempi adeguati porti a compimento una vera grande biblioteca di profilo europeo,
    dotata di tutti i servizi tradizionali e avanzati, all’altezza di una città di cultura che aspiri a crescere
    e a non restare avvolta nelle ragnatele e nei condizionamenti delle abitudini.
    La classe politica pisana si farà carico di questo compito, stimolando la nascita di una cordata che
    veda ovviamente al primo posto per impegni e responsabilità il MIBAC, ma che coinvolga le
    Università, la Regione Toscana, il Comune, ed eventualmente Fondazioni e privati.
    L’individuazione della sede adatta non è un ostacolo da poco. A quelle già elencate si è aggiunta
    peraltro anche l’area di Santa Chiara, già presa in considerazione al momento della chiusura della
    biblioteca, anche se allo stato degli atti, per la posizione centralissima nella zona universitaria e per
    la relativa facilità di dislocazione dei residui uffici che ancora ospita, la prima sede ad essere
    seriamente valutata per le verifiche di spazio e di fattibilità dovrebbe essere il Palazzo
    dell’Intendenza di Finanza in piazza Carrara.