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Cascina, il discorso del sindaco Michelangelo Betti in occasione della ricorrenza del 25 aprile

Oggi festeggiamo un 25 Aprile diverso e meno rituale rispetto ad altri anni, ma, in effetti, le celebrazioni hanno sempre aspetti che portano ad attualizzarne vicende e messaggio. Il sindaco è avvertito come la guida di una comunità e per questo non ha solo la responsabilità di indicare una strada nel governo e nell’amministrazione del territorio, ma rappresenta anche una voce sul modo di interpretare il tempo che viviamo e le prospettive che ci vogliamo dare.

In apertura voglio per prima cosa ringraziare i rappresentanti delle forze dell’ordine, delle associazioni di volontariato e delle associazioni ex-combattentistiche presenti.

Oggi ci troviamo per celebrare il 77esimo anniversario della Liberazione dal fascismo, coi suoi 20 anni di dittatura, e dalle azioni nazi-fasciste, che in Italia insanguinarono la parte finale della seconda guerra mondiale. Ci troviamo per ricordare i morti di una guerra e per festeggiare la libertà ritrovata. O forse trovata pienamente per la prima volta, dato che la fine del conflitto portò, nel 1946, al suffragio universale. Il primo, vero, suffragio universale. Un punto di partenza chiaro, dopo gli anni delle camicie nere. Un punto di partenza pressoché evidente per chi era uscito dal conflitto bellico e da venti anni di dittatura. Analisi revisioniste hanno via via teso a voler intorbidire questo quadro. Negli ultimi anni anche da alcuni settori della politica si è teso a voler distinguere tra la dittatura fascista e il nazismo tedesco, con la prima macchiata dal patto stretto col secondo. Un patto talvolta descritto come un ‘inconsapevole patto col diavolo’. Purtroppo, come facilmente rintracciabile nei libri di storia, il patto fu tra sodali. Il patto, che passò dalle leggi razziali del 1938, affondava le sue radici in una visione comune della società, basata su logiche discriminatorie e sulla violenza. Una violenza partita sin dall’inizio degli anni ’20 con le azioni delle squadracce, anche nel nostro territorio. Episodi tragici che in questi mesi ci hanno portato a ricordare il centesimo anniversario degli assassini di Luigi Benvenuti, Archimede Bartoli e Comasco Comaschi. La scia di sangue e di repressione delle libertà si estese e si ampliò per oltre due decenni fino al tragico collasso, che lasciò un Paese fatto di macerie. Dopo la dittatura e la guerra c’era un Paese da ricostruire, fisicamente e moralmente. Ci possono essere fiumi di parole, ma le vicende della storia restano e presentano un messaggio preciso.

Risulta evidente che senza i partigiani l’Italia sarebbe stata solo una nazione legata ai nazisti. Risulta evidente che senza gli angloamericani e i sovietici, la guerra in Europa avrebbe probabilmente avuto un esito diverso. E risulta infine evidente che i Paesi e gli eserciti che sostennero la Resistenza dettero armi ai partigiani che combattevano contro i nazifascisti.

La memoria storica non dovrebbe però essere un’eredità inerte e spesso infatti le vicende del passato sono state utilizzate come chiave di lettura del presente. Negli ultimi due anni la ri-attualizzazione si è incentrata sulla lotta comune alla pandemia. Una lotta che richiedeva l’unità del Paese e della comunità nazionale per far sì che le misure di contrasto alla diffusione del Covid-19 fossero efficaci. A meno di un mese dalla chiusura del biennio di emergenza sanitaria l’orizzonte è però già cambiato e la guerra in Ucraina porta a una nuova riflessione per il nostro 25 Aprile.

Per due anni abbiamo detto che la pandemia aveva portato a riscoprire una scala dei valori che pareva dimenticata e aveva fatto riscoprire quel che è fondamentale per la nostra società. Apparentemente tutti ritenevano necessari investimenti in istruzione, sanità e ricerca. Spero che queste necessità non siano già dimenticate, anche se il dibattito delle ultime settimane mi dà qualche preoccupazione. 

Il tema della ri-attualizzazione del messaggio torna anche in queste settimane e con maggior chiarezza. La storia non ritorna identica, ma resta chiara la differenza tra chi invade e chi viene invaso e non possiamo che sentire il dovere di aiutare, e non solo moralmente, chi perde la propria libertà. Per quasi 80 anni gli equilibri del mondo, seppur precari, avevano dinamiche in certa misura prevedibili, con percorsi di tensione ma anche di risoluzione. Oggi abbiamo di fronte una crisi dagli esiti potenzialmente imprevedibili, descritta minuto per minuto. Una narrazione che a volte pare così ossessiva da risultare disorientante.

Per quasi 80 anni la guerra, senza sparire dal mondo, ci era rimasta lontana, ma in questo 2022 la nostra festa della Liberazione non può che divenire anche un appello per fermare il conflitto in Ucraina e per riaffermare il nostro impegno per la pace. L’assetto internazionale uscito dalla seconda guerra mondiale, e con cui ci eravamo abituati a convivere, pare destinato a essere superato dalle trasformazioni che arrivano dai cambiamenti economici e sociali a livello globale.

In questo quadro l’Unione Europea deve riuscire a crescere e acquisire un ruolo nuovo. Come l’UE ha favorito la risposta continentale alla pandemia, oggi c’è la necessità di una posizione comune dell’Unione sulla guerra ai propri confini. C’è la necessità di una politica estera comune e di una difesa comune, che peraltro darebbe anche la possibilità di una riduzione della spesa in ambito militare, aumentando l’efficienza e la capacità di azione.

Andando a concludere questa breve riflessione sul 25 Aprile, sul fondamento storico e sul valore attuale di questa data, non si può non evidenziare come il Paese ritrovò unità nella lotta per la libertà. Nell’ultimo biennio abbiamo ritrovato la stessa unità contro la pandemia e oggi dobbiamo trovare l’unità su scelte che riportino la pace in Ucraina. 

In questo segno di unità, viva il 25 Aprile, viva l’Italia libera, viva la pace.