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Calcio Femminile: Ulivieri: “Nel professionismo maschile che, quando sarà, in quello femminile, bisognerebbe limitare il potere dei procuratori”

Renzo Ulivieri, un maestro di calcio. Dalla panchina del San Miniato (squadra del suo caro paese natale) nel lontano 1965, ai grandi palcoscenici della Serie A e della Serie B calcati per larga parte dei suoi 56 anni di carriera da allenatore: una vita dedicata allo sport di cui, alla veneranda età di 80 anni (quasi 81), ancora oggi rappresenta una delle figure più rilevanti in ambito italiano. Ulivieri è infatti il presidente dell’Associazione Italiana Allenatori e responsabile dei corsi per allenatori a Coverciano, ma non ha ancora alcuna intenzione di abbandonare il campo, tanto che dal 2015 siede sulla panchina del Pontedera Calcio Femminile, squadra militante nel campionato di Serie C. “Vado avanti perché mi piace e mi diverto. La promozione in B di due stagioni fa una bella soddisfazione, ma quest’anno l’obiettivo è una salvezza tranquilla”.

Cosa l’ha spinta nel 2014, a 73 anni, a tornare in panchina dopo 7 anni di assenza in un mondo nuovo come quello del calcio femminile?

In realtà è nato tutto per caso, perché l’allenatore della Scalese, la squadra di calcio femminile del mio paese San Miniato, aveva avuto dei problemi di salute per cui non avrebbe potuto allenare per 3/4 mesi. Così mi venne chiesto di dare una mano e ci salvammo in Serie B, poi la squadra non si è iscritta e sono andato a Pontedera. Qui siamo un gruppo che cambia di continuo, mantenendo però uno zoccolo duro solido. Vado avanti perché mi piace e mi diverto.

Lei ha portato per la prima volta il calcio femminile a Pontedera, peraltro ottenendo ottimi risultati come la promozione in Serie B. A che punto pensa che sia il progetto?

Abbiamo fatto due campionati a salire e uno a scendere (la retrocessione dalla B dello scorso anno). Essere promossi in Serie B due stagioni fa è stata una bella soddisfazione, ma non è il campionato “nostro” sia economicamente che tecnicamente, al momento. Ce la potremmo fare tra qualche anno se avrà uno sviluppo il calcio femminile giovanile, ma ora siamo in difficoltà perchè nella nostra zona si fa fatica a trovare ragazzine che vogliono giocare a calcio e probabilmente ci sarebbe necessità di andare più nelle scuole a promuovere questo sport.

La sua squadra, dopo un buon avvio, si trova attualmente in zona playout. A cosa riconduce questi risultati al di sotto delle aspettative per una neoretrocessa dalla B? Dove può arrivare il Pontedera in questo campionato?

Beh, va detto che le prime quattro partite (due vittorie e due pareggi, ndr) avevamo di fronte avversari più facili. Stiamo giocando in un girone che è duro quanto la Serie B l’anno scorso. C’è stato un grande miglioramento nelle categorie più basse del calcio femminile, perché sono arrivate delle ragazze che hanno cominciato a giocare già a 4/5 anni quindi hanno un percorso lungo alle spalle. Ho notato tante squadre che sul piano tecnico sono di alto livello e questo è anche merito degli allenatori: adesso nel femminile ce ne sono molti ben preparati. Quest’anno l’obiettivo è una salvezza tranquilla. Finora abbiamo segnato poco ed ho un numero veramente ridotto di giocatrici a disposizione, in più abbiamo perso per infortunio una giocatrice importante come Linda Gavagni, che rientrerà fortunatamente a breve. Spero che alla fine del campionato avremo sei squadre sotto, vorrebbe dire non rimanere invischiati nei playout.

Prima di queste esperienze nel femminile, lei ha allenato per decenni ad altissimi livelli nel calcio maschile. Quali ritiene, da allenatore, le maggiori differenze tra i due sia a livello tecnico/tattico che nella gestione dello spogliatoio?

Per quanto riguarda la gestione dello spogliatoio ritengo che sia sempre uguale: quando ci sono da gestire venti persone, che siano uomini o donne, se l’intenzione è di gestirle come persone è un impegno, se invece le vuoi gestire come concetto del gruppo (“son tutte uguali, la legge è uguale per tutti/e”) così allora è troppo facile sia nel maschile che nel femminile. Io ho sempre pensato che si tratta di un impegno, in cui si presentano all’incirca le stesse dinamiche tra uomini e donne. Dal punto di vista tattico non vedo differenze, perché c’è stata un evoluzione anche a livello di Serie C che dimostra come anche nel Femminile si conosca il calcio sotto questo punto di vista. Sul piano tecnico ci sono gesti tecnici meno adatti alle ragazze, che li stanno imparando ora, come il contrasto, il colpo di testa o il cambio di gioco, ma stanno migliorando anche su questi.

Che ne pensa dell’imminente passaggio al professionismo della Serie A femminile dalla prossima stagione? Si tratterà del primo sport italiano femminile a diventare professionista nel nostro paese.

Beh, il passaggio al professionismo è una cosa auspicabile, però dietro ha portato un frainteso: l’arrivo dei procuratori. Questo fenomeno sta danneggiando le ragazze e ci sono regole ben chiare: chi è dilettante (quindi dalla Serie A in giù) non potrà mai avere il procuratore. Questi invece sono entrati di forza e sono una cosa deleteria all’interno dei nostri campionati, arrivando anche a falsarli. Bisognerebbe intervenire in qualche modo per far rispettare le regole, perché queste figure stanno mettendo di mezzo le ragazze, facendo promesse, ed è una brutta cosa. Per quanto riguarda quando ci sarà il professionismo nel femminile questo è diverso, perché il professionista è un altro discorso dal punto di vista del rapporto con le società. Anche se a mio parere, sia nel professionismo maschile che, quando sarà, in quello femminile, bisognerebbe limitare il potere dei procuratori.

Sotto quale aspetto ritiene che il campionato italiano e gli allenatori italiani possano migliorare?

Io credo che sul piano tattico il nostro campionato sia eccezionale, il più difficile al mondo e le riconoscono anche tutti gli allenatori che arrivano dall’estero le grandi difficoltà che incontrano. Un’analisi che facevamo alcuni giorni fa a Coverciano, dato che sono responsabile dei corsi per gli allenatori, dimostra che probabilmente c’è bisogno di preparare in modo migliore i nostri allenatori sull’aspetto della comunicazione. Bisogna migliorare su questo: noi li seguiamo, vediamo anche le interviste e notiamo che gli allenatori stranieri generalmente gestiscono meglio questo aspetto.

Fonte: Pisatoday.it